Alzheimer e insulina cerebrale: l’influenza del diabete di tipo 3 sulla memoria

Negli ultimi decenni, il legame tra la malattia di Alzheimer (AD) e il diabete di tipo 2 (T2D) è stato rafforzato da numerosi studi che hanno dimostrato che queste due patologie condividono meccanismi di base. Questa associazione ha portato alla nascita del termine diabete di tipo 3 (T3D), spesso descritto come una forma di resistenza all’insulina nel cervello. Il T3D è stato suggerito come fattore centrale nella patogenesi della malattia di Alzheimer, aprendo nuove strade per la comprensione e il trattamento di questa malattia devastante.

Resistenza all’insulina nel cervello

Storicamente, l’insulina è stata vista principalmente come un ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue nei tessuti periferici, con scarso impatto sul cervello. Tuttavia, recenti ricerche hanno evidenziato il ruolo essenziale svolto dall’insulina nel mantenimento delle funzioni cognitive, in particolare della plasticità sinaptica, della memoria e della sopravvivenza neuronale.

In caso di insulino-resistenza cerebrale, fenomeno caratteristico del diabete di tipo 3 (T3D), queste funzioni cognitive risultano compromesse, con effetti paragonabili a quelli della malattia di Alzheimer. Questa disfunzione impedisce ai neuroni di rispondere adeguatamente all’insulina, interrompendo la regolazione delle proteine amiloidi e promuovendo l’iperfosforilazione della proteina Tau, due elementi chiave nella fisiopatologia della malattia di Alzheimer.

Meccanismi molecolari di base: L’insulino-resistenza interrompe la segnalazione nella via PI3K/Akt, portando a una maggiore attivazione della glicogeno sintasi chinasi 3β (GSK-3β), un enzima responsabile della fosforilazione anomala della proteina Tau. Questa alterazione contribuisce alla formazione di grovigli neurofibrillari, una delle principali caratteristiche patologiche osservate nella malattia di Alzheimer.

Questo legame diretto tra l’insulino-resistenza cerebrale e i meccanismi molecolari associati all’Alzheimer rafforza l’ipotesi che i disturbi metabolici, come quelli osservati nella T3D, possano svolgere un ruolo determinante nello sviluppo e nella progressione di questa malattia neurodegenerativa.

Iperglicemia, AGE e recettori RAGE

Uno dei meccanismi chiave che collegano il diabete di tipo 2 (T2D) alla malattia di Alzheimer (AD) è l’accumulo di prodotti di glicazione avanzata (AGE). Questi composti si formano quando le proteine o i lipidi sono esposti ad alte concentrazioni di glucosio per un lungo periodo, un fenomeno spesso osservato nell’iperglicemia cronica. Gli AGE si accumulano nel tessuto cerebrale e si legano a recettori specifici chiamati recettori per i prodotti di glicazione avanzata (RAGE), innescando una serie di risposte infiammatorie e ossidative.

Quando i RAGE sono attivati nelle cellule neuronali e microgliali, inducono il rilascio di citochine pro-infiammatorie e molecole neurotossiche, esacerbando lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione. Questi due processi sono essenziali per la progressione della malattia di Alzheimer. Inoltre, l’interazione tra gli AGE e i recettori RAGE promuove la produzione di amiloide-beta (Aβ), accelerando così la formazione di placche amiloidi, una delle principali caratteristiche patologiche dell’AD.

Questo complesso legame tra iperglicemia, AGEs, RAGE e neuroinfiammazione spiega perché il diabete di tipo 2 è sempre più considerato un importante fattore di rischio nello sviluppo della malattia di Alzheimer.

Qual è il legame tra diabete e malattia di Alzheimer?

I mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, svolgono un ruolo fondamentale nella fisiopatologia di entrambe le malattie. Nella T3D, l’insulino-resistenza interferisce con la capacità dei neuroni di utilizzare il glucosio in modo efficiente, portando alla disfunzione mitocondriale. Quest’ultima porta a un’eccessiva produzione di radicali liberi e allo stress ossidativo, fattori che contribuiscono direttamente alla degenerazione neuronale osservata nell’AD.

Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotte in eccesso nei mitocondri danneggiati causano danni al DNA mitocondriale e compromettono la capacità delle cellule di produrre energia. Questo circolo vizioso favorisce l’accumulo di proteine amiloidi e la fosforilazione anomala della proteina Tau, accelerando così i processi degenerativi.

L’impatto degli antidiabetici sui pazienti affetti da Alzheimer

Dati i legami fisiopatologici tra diabete e Alzheimer, le terapie antidiabetiche sono attualmente in fase di studio come potenziali interventi contro l’AD. Tra i farmaci più promettenti ci sono gli agonisti del recettore GLP-1, come liraglutide ed exenatide, che hanno mostrato effetti neuroprotettivi in modelli animali.

Questi trattamenti agiscono sulle vie di segnalazione dell’insulina e del glucosio nel cervello, migliorando la sensibilità all’insulina e riducendo la produzione di placche amiloidi e l’iperfosforilazione della proteina Tau. Studi preclinici e clinici hanno dimostrato che la somministrazione di questi farmaci può migliorare le prestazioni cognitive e rallentare la progressione della malattia di Alzheimer.

Il concetto di diabete di tipo 3 fornisce una nuova prospettiva sulla malattia di Alzheimer, suggerendo che gli stessi meccanismi patologici all’opera nel diabete di tipo 2, come l’insulino-resistenza e lo stress ossidativo, contribuiscono anche alla neurodegenerazione.

Questa comprensione apre la strada a nuove strategie terapeutiche volte a migliorare la segnalazione dell’insulina nel cervello, a ridurre lo stress ossidativo mitocondriale e a frenare l’accumulo di proteine patologiche.

Studi futuri dovrebbero esplorare ulteriormente questi legami e l’uso di farmaci antidiabetici nel trattamento dell’Alzheimer, nella speranza che ciò possa non solo rallentare la progressione della malattia, ma anche offrire nuove soluzioni per i milioni di persone colpite da questa patologia devastante.

Fonti

  • Vero o falso? La malattia di Alzheimer è il diabete di tipo 3: Evidenze dal banco al letto del malato Agosto 2024

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