Coronavirus felino nella ricerca Covid 19

Il coronavirus felino(FCoV) è una patologia ben nota in medicina veterinaria, soprattutto per la sua capacità di causare infezioni persistenti e talvolta letali nei felini. Questo virus, membro della grande famiglia dei Coronaviridae, condivide caratteristiche strutturali e genomiche con altri coronavirus, tra cui il SARS-CoV-2, responsabile della pandemia COVID-19 nell’uomo. Pertanto, lo studio dei meccanismi di infezione, replicazione e risposta immunitaria associati al FCoV ha offerto promettenti prospettive per la comprensione e lo sviluppo di trattamenti per il SARS-CoV-2.

Che cos’è l’FCoV?

Il coronavirus felino (FCoV), un virus a RNA avvolto a singolo filamento, infetta i gatti in due forme principali: FECV, che causa infezioni intestinali croniche, e FIPV, una mutazione più virulenta che causa una peritonite infettiva fatale. Le proteine S sulla superficie del FCoV facilitano l’attacco e l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite.

Il FECV è principalmente confinato alle cellule epiteliali dell’intestino. L’infezione è spesso asintomatica, ma i gatti espellono il virus nelle feci, facilitando la trasmissione tra congeneri che vivono in gruppo. Questo processo può essere esacerbato da una risposta immunitaria inappropriata, in particolare dalla produzione di anticorpi facilitanti.

La transizione da FECV a FIPV deriva da una mutazione che cambia il tropismo virale, spostandosi dalle cellule intestinali ai macrofagi, cellule chiave del sistema immunitario. Questa mutazione è attivata da anticorpi facilitatori che, invece di neutralizzare il virus, ne favoriscono l’ingresso nei macrofagi attraverso i recettori Fc. Una volta in queste cellule, il FCoV si replica in modo incontrollato, innescando una risposta infiammatoria sistemica e portando alla FIP, una malattia quasi sempre fatale.

La FIP si manifesta in due forme cliniche, una umida con versamenti fluidi nella cavità addominale o toracica, e l’altra secca, caratterizzata da lesioni granulomatose che interessano diversi organi. Questa infezione rappresenta un modello complesso di interazione ospite-patogeno, che illustra il ruolo cruciale delle risposte immunitarie nel decorso della malattia.

Quali sono i meccanismi della covida?

Il SARS-CoV-2, un virus a RNA a singolo filamento, è responsabile della COVID-19. Scoperto nel dicembre 2019 a Wuhan, questo virus appartiene al genere Betacoronavirus, che comprende anche SARS-CoV-1 e MERS-CoV. Il SARS-CoV-2 si caratterizza per il suo tropismo per l’apparato respiratorio e digerente, oltre che per la capacità di infettare altri tessuti come il sistema nervoso centrale, il sistema cardiovascolare e i reni.

Il principale meccanismo di infezione del SARS-CoV-2 si basa sul legame della sua proteina S con l’enzima ACE2, un recettore presente nelle cellule umane. Questa interazione consente al virus di fondersi con la membrana cellulare e di rilasciare il suo genoma nella cellula. Il virus dirotta quindi il macchinario cellulare per replicarsi, producendo nuove particelle virali. Oltre all’infezione per endocitosi, il SARS-CoV-2 può anche indurre le cellule infette a fondersi con le cellule vicine, formando sincizi, il che facilita la diffusione virale.

Il SARS-CoV-2 ha un elevato tasso di mutazioni, con frequenti variazioni nella proteina S. Queste mutazioni, come D614G o N501Y, aumentano l’infettività e l’evasione immunitaria. Il virus si trasmette principalmente tramite goccioline e aerosol e provoca risposte immunitarie molto variabili nei pazienti, che vanno da forme asintomatiche a complicazioni gravi come la sindrome da distress respiratorio acuto.

Quali sono le somiglianze tra questi due coronavirus?

I coronavirus, il cui nome deriva dal loro aspetto “a corona” al microscopio elettronico, sono virus a RNA avvolti e a singolo filamento. La proteina S sulla loro superficie permette loro di legarsi ai recettori cellulari e costituisce il punto di ingresso nelle cellule ospiti. I principali ospiti degli alfacoronavirus e dei betacoronavirus, come il SARS-CoV-2 e il FCoV (coronavirus felino), sono i pipistrelli, anche se questi virus possono infettare molti altri mammiferi, compresi i gatti e gli esseri umani.

I coronavirus hanno un ampio tropismo. Tradizionalmente associati ai sistemi respiratorio e digestivo, possono infettare anche altri tessuti, in particolare il sistema cardiovascolare e nervoso. Il SARS-CoV-2, ad esempio, colpisce il sistema nervoso centrale, causando sintomi come l’anosmia, mentre l’FCoV, dopo la mutazione in FIPV, causa una peritonite infettiva fatale nei gatti.

Il genoma dei coronavirus, uno dei più grandi tra i virus a RNA, è organizzato in modo simile per tutte le specie: due ORF (open reading frames) codificano per le poliproteine replicasi, mentre i segmenti rimanenti codificano per le proteine strutturali, tra cui la proteina S. La proteina S è essenziale per l’infezione. La proteina S è essenziale per l’infezione e svolge un ruolo cruciale nel cambio di ospite, come osservato nelle mutazioni che hanno portato alla comparsa del SARS-CoV-2 nell’uomo e al passaggio dal FECV al FIPV nei gatti.

Le somiglianze tra FCoV e SARS-CoV-2 evidenziano la capacità dei coronavirus di adattarsi a diversi ospiti e sistemi biologici, favorendo così la loro diffusione ed evoluzione.

La SARS-CoV-2 si comporta come l’FCoV fatale?

I meccanismi della peritonite infettiva felina (FIP) e della COVID-19, causate rispettivamente da FCoV e SARS-CoV-2, sono simili ma distinti. Questi due coronavirus infettano i loro ospiti attraverso recettori cellulari specifici, ma colpiscono tessuti diversi, influenzando così la gravità e la presentazione clinica delle malattie.

FCoV infetta principalmente enterociti e macrofagi, causando lievi sintomi gastrointestinali. Quando muta in FIPV, acquisisce la capacità di diffondersi in tutto il corpo attraverso i macrofagi, dando luogo a forme umide (effusioni) o secche (lesioni granulomatose).L’infiammazione sistemica e l’eccessiva attivazione dei macrofagi rilasciano citochine pro-infiammatorie, aggravando la malattia.

Allo stesso tempo, il SARS-CoV-2 colpisce principalmente le cellule dell’apparato respiratorio e può scatenare una tempesta di citochine nelle forme gravi di COVID-19. Questa risposta infiammatoria incontrollata è in grado di provocare una reazione infiammatoria pro-infiammatoria. Questa risposta infiammatoria incontrollata porta a gravi danni polmonari e complicazioni sistemiche, tra cui l’insufficienza multiorgano.

L’infezione da FCoV e SARS-CoV-2 differiscono anche nella risposta immunitaria. L ‘FCoV promuove il fenomeno della facilitazione dell’infezione mediata da anticorpi (ADE), rendendo la risposta anticorpale deleteria, mentre la produzione di anticorpi neutralizzanti in risposta al SARS-CoV-2 è protettiva nell’uomo. Questi meccanismi evidenziano importanti differenze nella patogenesi e nella gestione delle due malattie, sebbene condividano alcune caratteristiche immunitarie e infiammatorie.

Quali opzioni terapeutiche per la Covid sono state messe a punto utilizzando il FCoV?

La ricerca sul FCoV e sui trattamenti per la FIP offre preziose prospettive per combattere la SARS-CoV-2 e la COVID-19. Il legame tra queste due malattie, entrambe causate da coronavirus, si basa su analogie virologiche e immunopatologiche. Uno dei punti di convergenza più evidenti è l’uso di remdesivir e del suo metabolita attivo, GS-441524, inizialmente sviluppati per il trattamento della FIP e ora in fase di studio per la COVID-19.

Il remdesivir, sebbene sia stato sviluppato per altri virus come l’Ebola, è stato rapidamente considerato come un potenziale trattamento per la SARS-CoV-2 grazie alle sue proprietà antivirali. Tuttavia, la sua efficacia è stata limitata dalla scarsa biodisponibilità e dalla necessità di somministrarlo per via endovenosa. Il GS-441524, più facile da sintetizzare e da somministrare, potrebbe invece rappresentare una promettente alternativa. Questa molecola, che penetra più efficacemente nelle cellule e si concentra nel tessuto polmonare, presenta un interessante potenziale terapeutico per le infezioni respiratorie gravi, come quella da COVID-19.

Allo stesso tempo, GC376, un altro inibitore sviluppato per il trattamento della FIP, ha dimostrato la sua efficacia contro la proteasi Mpro del SARS-CoV-2, bloccando così la replicazione del virus. Questi inibitori della proteasi sono considerati potenziali candidati terapeutici per la COVID-19, offrendo nuove possibilità di trattamento.

I progressi compiuti nel trattamento della FIP non solo consentono di migliorare le cure veterinarie, ma aprono anche promettenti prospettive per la ricerca di soluzioni all’attuale pandemia di COVID-19.

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